La chiesa di San Giacomo

La chiesa di San Giacomo

Da Sinagoga a Chiesa: La Memoria Ebraica di Ciminna

A Ciminna, fino agli inizi del 1493 — pochi mesi dopo l’editto di espulsione emanato dalla regina spagnola Isabella, conosciuta come “la Cattolica” — esisteva una comunità ebraica dotata di regole proprie, gestita da un Consiglio di Proti.

La comunità comprendeva anche una sinagoga (oggi corrispondente alla Chiesa di San Giacomo, con annesso matroneo), che fungeva da luogo di culto e da scuola. In essa venivano celebrati i matrimoni, durante i quali veniva redatto il Ketubah (contratto matrimoniale in lingua ebraica), successivamente tradotto in siciliano e registrato da un notaio.

La comunità convisse pacificamente a Ciminna fino al 1493, quando la regina Isabella di Spagna emanò l’editto di espulsione di tutti gli ebrei dalla Sicilia, causando così uno dei maggiori disastri economici per l’isola.

Il portale della chiesa di San Giacomo

Gli ebrei, infatti, oltre a pagare la Gesìa alla Casa regia, versavano anche le tasse ai signori del luogo. Erano i migliori artigiani del ferro e del legno dell’epoca e gli unici capaci di conciare le pelli (Vicolo Conceria), dipingere la lana (Vicolo Pintura) e, soprattutto, di cardarla – operazione nota in gergo come “follatura”, che diede il nome al quartiere ebraico di Ciminna (Folletto).

Inoltre, grazie alla presenza degli ebrei fin dal XIII secolo, Ciminna ebbe l’onore di contare il primo vero medico: il celebre Maestro Maseni De Fariono, un ebreo di Sciacca che, per decreto reale di Re Martino, prese servizio a Ciminna il 6 giugno 1373.

Come narra la storia, anche a Ciminna la comunità ebraica subì un gravissimo torto. Il barone di Ciminna, in segno di sottomissione nei confronti dei regnanti spagnoli, imprigionò numerosi ebrei – donne e bambini compresi – nelle celle sotterranee del castello di Ciminna.

Fu solo grazie all’intervento del viceré Acugna — che, da Messina, inviò il suo emissario Pietro De Asprea — che gli ebrei furono liberati. Tuttavia, tutte le proprietà della comunità furono vendute e gli ebrei di Ciminna, in possesso soltanto degli indumenti, di alcune coperte, di parte del vettovagliamento e dei gioielli (paramenti sacri della sinagoga), furono accompagnati a Messina, da cui partirono per sempre, senza farvi mai ritorno.

Quanti furono gli ebrei vissuti a Ciminna?

Nel suo libro “Storie e Memorie di Ciminna”, il Dr. Vito Graziano ipotizza che la comunità ebraica locale contasse verosimilmente circa 500 persone. Egli basa questa stima sul fatto che, all’epoca, gli ebrei in Sicilia rappresentavano il 10% della popolazione totale, e Ciminna contava circa 5.000 abitanti.

Tuttavia, confrontandomi con l’Arch. Arturo Anselmo e il Geom. Giuseppe Cusmano, e considerando il documento relativo alla “Gesia” che riporta l’esistenza di 9 “fochi” (nuclei familiari ebraici) composti da 6/7 persone ciascuno, il numero totale degli abitanti ebrei scenderebbe a 50/60 unità.

Nutro dei dubbi su quest’ultima statistica. Un numero così esiguo di ebrei difficilmente avrebbe potuto sostenere una Sinagoga o costituire annualmente il Consiglio dei Proti, formato da 12 membri che non potevano essere eletti per due anni consecutivi.

Alla luce di queste considerazioni, mi sono informato con esperti del settore, i quali mi hanno spiegato che l’editto sulla “Gesia” si riferiva alle case abitate dall’intero nucleo familiare, comprendente nonni, figli con le loro famiglie e, in alcuni casi, anche operai, servitori e lavoranti.

Basandomi su questo documento ufficiale, si può ipotizzare un numero complessivo di presenze ebraiche che si avvicina alla media tra le due ipotesi precedenti, quindi tra le 234 e le 250 persone. La “Gesia” annualmente pagata era di 9 tarì, un tarì per casata.

Non disponiamo di dati certi sulla diaspora della Comunità ebraica di Ciminna, pertanto sarebbe opportuno intraprendere una ricerca per scoprire dove si trasferì. Le ipotesi più verosimili sono:

  • Roma, dove in quel periodo nacque una scuola ebraica di rito siciliano.
  • Le isole greche, dove esistono scuole ebraiche di rito sefardita, praticato dagli ebrei siciliani.
  • L’Egitto, dove in diverse Sinagoghe si studiano testi sacri scritti in Sicilia.
  • Istanbul, perché ancora oggi vi risiedono ebrei con cognomi ebraici risalenti a quell’epoca.

È certo che, durante l’espulsione degli ebrei dalla Sicilia, la regina Isabella emanò anche un editto che consentiva agli ebrei convertiti al cattolicesimo di rimanere sull’isola. Questi convertiti venivano chiamati “Marrani”, termine spagnolo che significa “porco”.

Molti ebrei, per sfuggire alla persecuzione, si spostarono tra i paesi che avevano ospitato comunità ebraiche, cambiando il proprio nome e spesso adottando quello del luogo di provenienza (ad esempio, gli ebrei provenienti da Ciminna avrebbero potuto adottare il cognome Ciminna).

Moltissimi Marrani continuarono a praticare il loro culto in segreto. Una regola prevedeva che le donne si recassero presso un ruscello con acqua sorgiva per purificarsi durante il ciclo mestruale in apposite vasche.

Non sappiamo se a Ciminna ci furono casi di Marranesimo, ma è interessante notare l’esistenza di un luogo chiamato “Marrana” dove scorre un ruscello di origine sorgiva. Tuttavia, coloro che si convertirono poterono continuare a frequentare la vecchia Sinagoga, trasformata nella piccola Chiesa dedicata a San Giacomo, santo considerato figura di unione tra le due religioni (cristiana ed ebraica).

Il quartiere “Folletto”, dove vivevano gli ebrei con la loro Sinagoga e i loro amministratori (i Proti), non subì cambiamenti sostanziali nel tempo e rimase tale fino al XV secolo. Negli anni successivi, questo quartiere cadde in rovina e versa ancora oggi in uno stato di totale abbandono. Tuttavia la Sinagoga è stata presentata alla comunità con l’intervento dell’Ambasciatore d’Israele, delle autorità religiose, militari e civili, e si stanno avviando iniziative per promuovere il restauro dell’antico borgo ebraico, Sinagoga inclusa.

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